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15.10.14

piccole scintille di vita

Sono in giro a cercare il regalo per un'amica, quando arriva il messaggio di Anna.
Mi ricorda che oggi è il babyloss, il giorno in cui si commemorano i bambini persi in gravidanza.
"Sì, lo farò" rispondo.

Io, mamma felice, avevo già programmato di accendere una candelina dalle 19 alle 20.
Anche se rabbrividisco al solo pensiero della morte, voglio accendere una luce insieme alle donne che ogni giorno convivono con il dolore della perdita di un figlio.

Entro in un negozio. Devo comprarla questa candelina, non sono certa di averne in casa.
Ce ne sono di ogni tipo in questo reparto eppure non riesco a decidermi.
Ne afferro una molto grande, ha tre stoppini e devo tenerla con due mani tanto è pesante.
E' bella e dà l'idea di tanti cuori accesi.
Sono ancora indecisa però, in fondo una fiamma è simbolica per tutti.
Ma i tre stoppini mi guardano e improvvisamente mi vengono in mente i tre embrioni della mia prima icsi.
Mani e pancia cominciano a vibrare e arrivo alla cassa con gli occhi lucidi.

Cosa fosse rimasto nel mio cuore, di quei potenziali bambini, non lo sapevo. Da quando non hanno passato gli esami delle beta non li ho più considerati.
Erano solo piccole scintille di vita, senza volto, senz'anima. Ché l'anima gliel'attribuisco io quando li penso, li immagino.

Però poi guardo la foto dell'embrione che era, un tempo, mio figlio e la foto del bambino vero che un tempo era quell'embrione.


Dov'è la differenza?



Non si può pensare non siano niente.
Solo perché non posso mostrare tre foto di bambini accanto a questi embrioni, non significa che non meritino considerazione.
Ogni donna che si sottoponga a un transfer, ha la consapevolezza di accogliere una scintilla di vita.

Intendiamoci, non mi identifico con le donne che hanno subito una perdita in gravidanza. Non sono rimasta incinta grazie a questi embrioni.
Tuttavia il sentimento di perdita che allora mi accompagnava, ha generato la necessità di creare qualcosa di tangibile. E' grazie a loro, insomma, che ho cominciato a raccontarmi, ascoltarmi in modo diverso e scrivere. Quasincinta era il blog che mi ha visto nascere come persona nuova e, sono certa, non avrei mai approfondito alcuni aspetti di me se non ci fosse stata quella casa virtuale, quel nido d'amore.

Quando ho conosciuto Anna ero già incinta grazie alla mia seconda icsi.
Lei non ha ancora foto di bambini da mostrare accanto alle sue scintille di vita, ma ne parla in un modo che, poi, per chi la legge è facile immaginarseli.
C'è stato un tempo in cui temevo che l'amore per quelli che lei chiama i suoi angeli l'avrebbe destabilizzata, l'avrebbe portata lontana dalla realtà.
Riconoscevo il suo bisogno di mantenere un dialogo con i  piccoli non nati ma, allo stesso tempo, avevo paura che questo rapporto potesse minare seriamente il suo equilibrio psichico.
"E se l'immagine (o proiezione?) di questi bambini fosse per lei una guida verso percorsi sbagliati?" mi domandavo tre anni fa.
Da allora Anna ha visto interrompersi sei gravidanze. Non ha mai smesso di parlarne, di raccontare quello che i suoi bambini le ispiravano.
Molti non hanno compreso la sua storia, le sue emozioni. Le hanno detto di smettere di pensarci, di rassegnarsi. Di guardare oltre.
Lei riprendeva un po' il fiato, smetteva di scrivere ma poi si riaffacciava più forte di prima, più coraggiosa.
In questi anni ho imparato a conoscerla, ad ascoltarla e a sentire ciò che davvero andava ascoltato.
Mi ha dimostrato che l'amore per i suoi  angeli non l'ha portata allo sbando. Anna è una persona lucida e responsabile, non si è persa.
Continua a raccontarsi con la stessa intensità di quando l'ho conosciuta e, alla fine, ho capito che se tutti avessero riconosciuto l'importanza di quei bambini non nati e avessero dato loro giusta dignità, non ci sarebbe stata l'esigenza di ripetere le stesse cose.
Non si confonderebbe, ancora, il bisogno di far comprendere con l'ossessività.


Dedico a tutte le Anna la mia candela di oggi.

1.10.14

Move with a smile



Capita che mentre stai organizzando l'ennesimo trasloco, le cose, anziché finire negli scatoloni, prendano a volare da parete a parete e le parole frantumino i vetri.
Tanto che poi uno si chiede se debba contattare la ditta traslochi, affinché mandi due camion per portare le cose (volate) in due destinazioni diverse.


"Move with a smile" è la ditta che i miei vicini, il mese scorso, hanno scelto per il loro trasloco.
Quel giorno, tornando a casa, ho incontrato i ragazzi che portavano via gli scatoloni dal loro appartamento. Indossavano una t-shirt con lo slogan stampato sulla schiena.
Gli ho sorriso, ho detto che se non avessi già preso accordi, li avrei chiamati.
Loro hanno ricambiato il sorriso e io sono entrata in casa fantasticando che sì, avrei traslocato anch'io sorridendo. 

Invece, a turno, siamo esplosi. Ognuno spargendo, con violenza, frammenti del proprio Sé ferito.




Dopo la bomba, abbiamo ri-sistemato la nostra vita in 53 scatoloni e il giorno che qualcuno, senza sorriso stampato sulla maglietta, è venuto a prelevarla, avevamo già rincollato i frammenti di quel Sé inquieto e ribelle. 





Abbiamo aspettato che gli uomini dalle braccia lunghe e il passo stanco facessero su e giù da un appartamento che  iniziava già a non essere più nostro. Mobili raggruppati a caso, stanze vuote, stampelle lasciate a ciondolare negli armadi.
Poi succede che un bambino, improvvisamente, interrompa le sue scorribande domestiche per andare a rifugiarsi su una poltrona che è consapevole di dover lasciare. 
Così ci fermiamo a osservarlo mentre canta il tormentone di questi ultimi mesi.
Lui non si distrae nemmeno a filmarlo e concede bis non richiesti.
Sappiamo bene che cantare sia il suo modo di calmarsi, di dire "IO CI SONO".
E noi anche abbiamo sentito d'esserci. Di essere tornati prima ancora d'andare via.






29.8.14

Norwegian wood (this bird has flown)


F.Haruki and Mikoto



Lei mi abbraccia, mi stringe, si scosta e poi mi abbraccia ancora.
Sento la sua mano che preme forte sulla mia schiena. Si allontana un passo indietro e mi guarda.
Le sorrido. Gli occhi si fanno lucidi e io temo, da un momento all`altro, di vederla piangere.
No, per favore, niente lacrime. Abbiamo appena finito di dire che ci rivedremo.
Tornerai a Londra e io verro` a trovarti a Tokyo.
Lo abbiamo detto, non per dire. Fammi credere che sentiro` ancora la pressione di quella mano.

Da quando scrissi qui del mio primo incontro con Hiromi, sono trascorsi due anni.
Allora non mi sembravano né tanti, né pochi.
Pensavo fosse un tempo sufficiente a condividere una fetta di vita.

Due anni sono un tempo strano.
E` il tempo di fermarsi a raccogliere qualcosa caduta per terra e alzarsi in piedi.
Un attimo insignificante dopo il quale tornare a camminare come se nulla fosse accaduto.








14.8.14

nauseating people




I am blessed with wanton curiosity. I want to find out how to be absurdly happy every day. You know those people who always radiate cheerful optimism whatever is going on in their lives?
Nauseating, aren't they? I want to become one of those.


The Battersea Park Road to Enlightenment, Isabel Losada

29.7.14

Ri-pensamenti


Navigo un po' in disparte, lasciando raramente tracce del mio passaggio.
Ci provo a chiudere blog e non frequentarne altri. 
Perché?

Solo per dire "Toh, ci sono riuscita!"


Capita spesso di sentire il desiderio di scrivere, più difficile è assecondarlo.
Digitare qualche parola legata al guinzaglio, non corrisponde alla mia idea di scrivere.



Sono come uno di quei criceti costretti a correre dentro a una ruota.
Giro pensando costantemente di chiudere l'ennesima casa virtuale ma dalla ruota, poi, non scendo mai veramente.














Altre cose che avrei voluto dire, a proposito della mia gita a Brighton, sono chiuse qui.

5.6.14

L'inconveniente

"Da quando sono al mondo" - quel da quando mi pare gravato di un significato così spaventoso da diventare insostenibile. (Emil Cioran)

Può essere che insinuarsi in questo mondo equivalga a profanare un mistero, in ogni caso l'opportunità che ci è data, seppur con tutto il carico di dolore e con la consapevolezza di una fine certa, ha bisogno di essere esperita con profonda gratitudine.
Pena l'angoscia dell'assurdo, la caduta nel nichilismo.


C'è stato un tempo in cui il pensiero della morte mi si attorcigliava addosso.
Poi ho trovato una scatola capace di contenere il boa addomesticato e, da allora, capita raramente di rovistarci dentro.
Oppure continuo a fare riflessioni, ma attraverso lo sguardo filtrato dell'arte, intesa in ogni sua forma possibile.

Dall'arte ci facciamo sedurre, permettiamo che si prenda gioco di noi; perfino lasciamo che spaventi e renda il nostro animo inerme.
Se non avessimo l'arte saremmo persi, in balia dei dèmoni.


Sarà per questo, che ho iniziato la mia visita al cimitero di Staglieno rendendo omaggio all'uomo delle smorfie. 
La maschera sulla tomba di Govi mi accoglie con un sorriso benevolo e beffardo, questa è la prova che là sotto ci sia sepolto proprio lui.


Che poi a guardare certe tombe, sembra davvero di trovarsi a teatro. La rappresentazione del dolore curata nei minimi dettagli, le parole intuite, il fruscio dei vestiti, i sospiri. 
Tutto sembra reale. 



Il visitatore diventa lo spettatore di una commedia, o meglio di un dramma; e grazie a pochi indizi riesce a tratteggiare la trama delle storie che si susseguono nelle gallerie.




Cambiano le epoche, gli stili e il gusto di chi commissiona le sculture funerarie.


L'angelo androgino della tomba Oneto ha lo sguardo distante di chi non consola e nemmeno guida verso il Paradiso. E' una figura ambigua: da una parte freddo testimone del mistero del nulla, dall'altra capace di generare passioni, grazie alle sue sembianze seducenti.


L'eterno ha forse questo sguardo.


E un campo arato in un camposanto fa pensare a nuove semine, non è certo di buon auspicio.


D'altra parte si sa che "si muore tutti i giorni". Me lo dice il mio compagno camminando qualche passo avanti a me, e lascia che da sola intuisca di quali lapidi stia parlando.



No, non mi piacciono i cimiteri neppure quando sono ricchi di fascino.
Le parole chiuse nella scatola bussano per uscire e tentano di riaprire il dialogo interrotto, comincio ad averne abbastanza anche della bellezza di queste statue. 
Ma da quanto tempo siamo qui?
Arriva lui, il mio compagno, con questa foto rubata in una delle gallerie. 
Me la mostra dicendo: "Il morto più spettinato del cimitero"
Ridiamo.
"Come si chiama?" chiedo io.
"Non importa" mi risponde.
Adesso ho capito. Sorrido guardando la foto.
C'era bisogno di alleggerire un po' il peso dell'esperienza, dei pensieri che cominciavano a farsi irruenti.


Grazie signore spettinato, che ci hai permesso di sorridere un po' dei tuoi capelli. 
Sei il nostro signore simpatico del cimitero di Staglieno. 
L'unico volto vero che ricorderemo, con affetto, in mezzo a tanti visi perfetti, di marmo.


Prima di uscire, noto un cartello appeso al muro che non avevo notato entrando.
Ci  informa di uno spettacolo itinerante che andrà in scena lo stesso pomeriggio.
Peccato non tornare qui a vederlo, sarebbe stato suggestivo.

Sorrido.
"L'inconveniente di esser nati" mi sembra una frase divertente da mettere all'ingresso di un cimitero.


2.6.14

La valigia dei ricordi


Difficile spiegare Genova, città luminosa e grigia.
Non la vedevo da 10 anni, giusto il tempo che hanno impiegato a rifarle il make up.
Ora mi sembra una città vivibile, felice, almeno agli occhi del turista.

30.5.14

Con le migliori intenzioni



Certe cose non si possono rimandare.
Quando si presenta l'occasione giusta, devi approfittarne.
Così prima di fare la nostra vacanza nella vacanza, prima cioè di andarcene una settimana a Genova, siamo stati tre giorni immersi nel verde delle colline romagnole.
Lì abita un vecchio Rambo in pensione, che dopo aver indossato la muta, il paracadute e  una divisa gloriosa, ora trascorre le giornate curando un orto, cuocendo pizze nel forno a legna, salutando il sole al tramonto.
E' mio padre, uomo dalla personalità bizzarra che ha costellato di paradossi la vita della mia famiglia.


Non amo parlare di lui. Non si può spiegare la vita di una famiglia. 




Siamo partiti con le migliori intenzioni, abbastanza rilassati; consapevoli che certi incontri siano più facili da gestire se hai un bambino in grado di monopolizzare l'attenzione su di sé.
Ho pensato che correre dietro al bambino in fuga, avrebbe evitato di ritrovarsi in quelle solite conversazioni dalle quali poi si esce inevitabilmente arrabbiati.  

Sentivo che fosse arrivato il momento, che non potevo aspettare ancora.



La vita è una giostra, quante volte l'ho sentito ripetere.
Mio padre sta benissimo, è un uomo forte e atletico.
Eppure non volevo perdere quest'occasione d'incontrarlo, di fargli conoscere mio figlio.
Di evitarmi qualche rimorso.





Non si può cancellare il passato, perdonare.
Si possono fare regali che nascono dal cuore, però.
Ed è quello che ha detto mio padre mentre mi salutava, un istante prima che entrassi in macchina.
"Mi hai fatto un grande regalo"